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lunedì 20 settembre 2010

Sviluppata una metodologia per identificare gli acidi grassi nell'olio e nei formaggi.

L'uso della risonanza magnetica nucleare (RMN) nella scienza degli alimenti è un nuovo approccio utilizzato dai ricercatori per la caratterizzazione degli alimenti. 
Ma come funziona. Il principio è lo stesso di quello utilizzato in clinica medica, basato sull’analisi degli atomi di idrogeno contenuti nell’acqua di cui è composto l’alimento sottoposto ad indagine. I questo caso, la RMN mira ad ottenere un’immagine, o spettro, tipica dell'alimento, quasi fosse un’impronta digitale ‘unica’ per ogni prodotto investigato. Dalla posizione dei vari ‘picchi’ sull’immagine che se ne è ricavata, è possibile identificare i componenti presenti, mentre l'intensità del ‘picco’ consente di misurarne la quantità.
La ricerca. Il prof. Andrés Moreno, della Scuola di Scienze Chimiche dell'Università di Castilla-La Mancha (UCLM), ha sviluppato una metodologia basata appunto sulla risonanza magnetica nucleare (RMN) per identificare gli acidi grassi negli alimenti a denominazione di origine.
Il ricercatore ha presentato il progetto 'Analisi e reattività di acidi grassi mono-insaturi e di- e trigliceridi mediante risonanza magnetica nucleare (RMN) di formaggi e oli di oliva'.
Questo studio, che mira a sviluppare una nuova metodologia per l'identificazione di acidi grassi e altri metaboliti presenti in alcuni alimenti a denominazione di origine come l'olio d'oliva ed il formaggio, conferma che, e sono parole del ricercatore, 'la spettroscopia a risonanza magnetica è uno strumento prezioso, in quanto è in grado di rilevare, identificare e quantificare, in modo veloce, semplice ed efficace, i diversi tipi di metaboliti presenti in campioni complessi come il cibo'.
Nel caso dell'olio di oliva, composto essenzialmente da acidi grassi, la composizione può variare a seconda della cultivar, regione, altitudine, epoca di raccolta e processo di estrazione. Identificare esattamente queste variazioni aiuteranno a caratterizzare e distinguere tra le differenti varietà che concorrono alla produzione di olio d'oliva.
Dr Antonio G. Lauro

giovedì 16 settembre 2010

La qualità dell’olio: corrette pratiche di trasformazione, conservazione e imbottigliamento.




Quando le olive arrivano in frantoio, prima di tutto, vanno passate al vaglio per separarle da foglie, rametti ed eventuali altri corpi estranei che a volte possono accompagnarle e successivamente avviate al lavaggio negli appositi macchinari.
Subito dopo vanno molite e questa è la fase in cui la polpa, il nocciolo e la buccia, vengono frantumante in piccolissime parti che, mescolate tra di loro, formano una pasta di olive. La frangitura si può effettuare meccanicamente con l'utilizzo di frangitori moderni o con le famose molazze: classiche ruote di pietra granitica che girando in una vasca frantumano le olive.
Alla frangitura segue la gramolatura, ovvero il delicato e continuo rimescolamento della pasta oleosa ottenuta e tale procedimento provoca l'unione omogenea delle particelle di olio disperse.
Quando la pasta è ben amalgamata, va sottoposta a pressione o a centrifugazione il più in fretta possibile per estrarre dal suo interno l'olio. La spremitura viene effettuata con le tradizionali presse, o con i più moderni separatori centrifughi.
A tal proposito si segnala che negli ultimi anni, la tecnologia olearia ha messo a punto attrezzature a “ciclo continuo”, cosiddette, perché con questi sistemi, una volta avviate le olive alla lavorazione, si ottiene l'olio senza nessun intervento dell'uomo; diversamente nel “ciclo tradizionale” l'uomo deve intervenire con molte operazioni, assumendo un ruolo primario nella fase di estrazione dell'olio.
La conservazione dell'olio, è un aspetto molto importante e delicato, in quanto il contatto del prodotto con l'aria, può causarne una degradazione chimica e soprattutto organolettica, con forte appiattimento delle note aromatiche e con la possibile insorgenza di difetti come il “rancido” dovuto dall'ossidazione. Inoltre la corretta filtrazione dell'olio, garantisce il preventivo allontanamento dei residui solidi in sospensione che con il passare del tempo, causano altri difetti quali ad esempio la morchia, dovuto appunto alle fermentazioni innescate dalle sostanze depositate sul fondo dei contenitori. Le regole di base per una buona conservazione sono: ridurre al minimo il volume d'aria a contatto con il prodotto, mantenerlo a temperatura costante (10°-18°), proteggerlo dalle fonti di luce e calore.
Lo stoccaggio più razionale va effettuato preferibilmente in contenitori in acciaio inossidabile o di vetro scuro. E' altrettanto raccomandabile utilizzare gas inerti, solitamente l'azoto, per eliminare o quantomeno ridurre la quantità di ossigeno presente nello spazio di testa dei contenitori.
E proprio per questi motivi le confezioni per la commercializzazione sono ormai prevalentemente di vetro scuro, poiché protegge il contenuto delle bottiglie dall'esposizione alla luce sulle scaffalature. Le macchine per l'imbottigliamento, provvedono automaticamente a versare l'olio nei contenitori dove, una volta riempiti e prima che siano sigillati, è iniettata una piccolissima quantità di gas inerte, quindi non dannoso, che rimanendo tra la superficie dell'olio ed il tappo, impedisce lo sconveniente contatto olio-ossigeno che, come già detto, attiverebbe inesorabilmente il processo di ossidazione dell'olio.
Infine, si segnala che, anche per appagare le esigenze dei consumatori, alcuni produttori imbottigliano l'olio appena separato per lasciare alla vista l'effetto “velato”, fatto che di per se non è sinonimo né di cattiva né di elevata qualità; altri invece, preferiscono provvedere alla sua filtrazione con semplici filtri di cotone o di carta.
Dr Antonio Giuseppe Lauro - Panel Leader
Coautore de Gli Extravergini Calabresi - Guida agli oli di qualità (2008)